Il divieto della libertà

Gennaio 22, 2015 Posted by Approfondimenti 0 thoughts on “Il divieto della libertà”

Nessuno è libero da solo. La libertà è fatta di legami, ci sono quelli che imprigionano e quelli che liberano. Chi ama è libero, si abbandona. Chi odia non è libero, si ossessiona. Chi ama fa della passione un sentimento di libertà. Il desiderio non si soddisfa come un bisogno. Il desiderio si libera dando qualità al proprio bisogno di vivere. C’è un limite. Ed è ancora il legame a indicarlo. A un amico si può dire tutto fino a quel cosa e come non gli fa male senza rimedio. Il sapere della libertà è sentire. Ed è un diritto non scritto e non scrivibile. È la condizione stessa del diritto scritto, fa scrivere, ma non si scrive. Riguarda l’etica, non si rinchiude in un codice giuridico o deontologico di professione. Riguarda la persona. Per questo è libertà. Il limite è il legame. Il divieto della libertà è nella relazione. Sta nel dovere morale verso se stessi e gli altri. La libertà è comune. Anche l’intimità è un insieme interiore. Non c’è intimità che non sia insieme, nascosto e svelato. Il divieto della libertà è interiore. I Greci della filosofia, si dice, che non abbiano conosciuto i sentimenti. Ci hanno parlato delle virtù segnando quel rimando del Vero, del Bello e del Bene. A misura del carattere. La scuola dei sentimenti è nata con l’Illuminismo, quando si è dato lume alla ragione, indicando l’uscita dallo stato di minorità (Kant) nel processo educativo (Rousseau, Voltaire), in quel tirarsi da, venir fuori dell’“e-ducere” da una condizione selvaggia o di passione sola. I sentimenti si educano. Le passioni si hanno, le emozioni si danno. La libertà si educa. Quando leggo della “rieducazione” per le carceri, faccio fatica a capire. Non penso si debba intendere la scuola della formazione che ripropone la scena del trauma che ha portato all’evasione e alla devianza chi adesso è recluso. Penso alla libertà. Nessuno può apprenderla per iscritto, non si può imparare a memoria, perché la libertà è liberare la memoria che ci fa apprendere. Si conosce nei legami. Le condizioni spiegano le cose, sono poi le relazioni che cambiano condizioni e situazioni. La libertà è come l’arte e la filosofia. Si scrivono senza scriverle. Ci si iscrive nell’arte e nella filosofia. Si è in filosofia, non si fa filosofia. Devi avvertirla dentro. Sentirti insieme. Nessuno è libero da solo. La filosofia è allora educazione alla libertà. L’Europa non è senza la comunità. La libertà è comune. Mi dispiace, io non sono Charlie, fin da quel momento sono stato l’uomo nascosto nell’angolo della tipografia assediata, ero chi faceva la spesa al supermercato, chi era in strada a Parigi quel giorno. Sono stato e sono le bambine usate come mine e fatte esplodere per ammazzare persone che incontro per strada. I martiri non si fanno uccidere per uccidere, i martiri sono quelli che si fanno uccidere per non uccidere. Sono uno che si dispiace. Non sono Charlie o chiunque altro dica quel che vuole da solo. Anche l’ironia ha il suo limite, se è libera. Il divieto della libertà è il dispiacere. Lo stesso che rende capaci di essere felici. Le scene di questo inizio di anno ci riportano a riflettere come il grado di libertà di un Paese si misuri dalla qualità dei propri legami sociali. La libertà è comune, rende comuni. Gli antichi ci hanno lasciato il Vero, il Bello, il Bene, noi vi abbiamo aggiunto la Libertà che li mette in circolo, perché la libertà è un bene, è bella, rende veri. Ci tiene insieme, nell’intima utopia di un diritto che non si esaurisce in un codice, ma rende possibile ogni diritto e ogni scritto. E non per una certezza d’identificazione di quello che si è, ma per quello si può diventare insieme. Anche l’anima è fatta di molte voci. È politica. Corale. La libertà rimanda al libro. Chi legge tanti libri è tanto più libero. Non è così sul piano giuridico. “Libero” era il figlio riconosciuto legalmente, legato alla famiglia. Libero era lo schiavo quando gli si assegnava il nome della famiglia che serviva. Un’identità di proprietà. Il libro era quello dei nomi, dell’anagrafe. Era libero chi vi era iscritto. Non è libero chi è clandestino, senza documenti, senza riconoscimento, senza nome identità. Si può perdere la proprietà dell’identità quando si leggono molti libri e ci iscrive come cittadini di quella città che Ingeborg Bachmann diceva della letteratura dove i nomi delle strade sono quelle di chi ne criteri di passi interiori. Un libro si apre come una porta. Si può trovare un’identità senza proprietà. Erri De Luca lo dice alla finestra del suo libro quando ricorda che affacciandosi vedeva tutto quello che non accadeva e che gli succedeva dentro, “sabotando” ogni acquiescenza all’esistente. Aveva appena chiuso il libro che leggeva e apriva la finestra di quel che gli avveniva dentro a liberarlo. Il dispiacere, penso, che sia il dispiacere a indicare la via della gioia. Nessuno è libero da solo, non si può dire e scrivere quello che si vuole. La libertà è fatta di legami. La libertà è comune. Si sceglie anche una comunità. Le regole senza relazioni sono repressive, cieche. Le relazioni senza regole sono selvagge, violente. Regole e relazioni si fronteggiano fin quando non fanno sentire i legami che liberano le une nelle le altre. La Val di Susa è certo un esempio di uno scarto. Su quella valle si fronteggiano ancora adesso una “comunità” e una “compagnia” che reclama la beffa di un risarcimento per un’opera che non si farà, intendando un “processo d’interesse”. Erri è andato a scriversi dentro un tale scarto tra comunità e compagnia, tra regole e relazioni. Il libro dura, non finisce nella cronaca del giornale, ha un domani, resta aperto dentro, più del giorno dopo, è letteratura, si continua a leggervi il futuro. Per questo le parole di Erri non sono le battute del parlamentare o dell’ironia di un giornale. È diverso. Io non sono Erri, ma sto dalla sua parte. Bisogna leggere tanti più libri per essere liberi. Sentire l’altro che non si conosce, non per farlo diventare uguale o imitarlo. L’empatia è l’esercizio del buon pensante, la “compatia”, e non il compatimento, è forse l’esercizio del pensare bene. Il male è banale, diceva Hannah Arendt, il bene è gratuito allora. Il male si fa, il bene si dà. La libertà è abbandono, un legarsi che è uno sciogliersi, com’è il languore che viene difronte alla fragilità della vita di un bambino. La mia libertà è quello che sento nel dispiacere che mi prende e mi spinge a essere felice, come diceva quell’Illuminista critico, quando ripeteva che non si può separare il fine della propria realizzazione dal fine della felicità degli altri. La libertà è un sentimento. Il suo divieto è il dispiacere. Il suo limite è l’amicizia. L’Europa deve ripensare la sua libertà. La propria identità. Deve ripensare anche quel che fin qui si è chiamata inclusione buona per indicare l’esclusione e la reclusione. Bisogna ripensare i nostri legami. La libertà è fatta di legami, nessuno è libero da solo. Non si contratta la libertà. Il mondo libero non è fatto di spie o di vite di scambio. Quando leggo che contro il terorismo si premia col permesso di soggiorno chi fa delazione capisco che si nega la relazione. E continuo a pensare che è la qualità dei legami sociali che misura il grado di libertà di Paese. I sentimenti si educano. La libertà si educa Sono i legami che ci fanno sentire e liberare.

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